lunedì 25 luglio 2016

il Miracolo [Racconti]


Se ne stava seduta
in quella panchina
sotto una giovane quercia.
Fissava lo scorrere del fiume, Giovanna.
Osservava quelle zone d'ombra al di là
della rustica sponda. Osservava l'affiorare di piccole bolle, come se sotto a quella verde marmaglia liquida e fangosa vi fosse ancora vita.
"Chissà se qualche pesce gatto se' nasconde alla luce.." mormorava fra i suoi pensieri.
Si voleva distrarre dalle malinconie che s'aveva addosso, come una seconda pelle, anche quando usciva da quella casa disperata.
Ma no, no, era così difficile, diceva lei, quasi impossibile allontanarsi totalmente dai problemi di casa.
Come poteva smettere solo per un istante di pensare a sua sorella, fissa in una carrozzella e con la testa mezza andata. Come poteva smettere, insisteva fra i suoi ragionamenti, anche per dieci secondi di pensare a quella madre ubriaca che avrebbe potuto ricadere da un momento all'altro nel circolo diffamatorio di un paese tanto pettegolo quanto curioso.
E quel padre, "Oh, quale padre.." si sarebbe chiesta anche da vecchia decrepita, che s'era invaghito di una cubana e sparito oltre l'Oceano senza lasciar nemmeno n'assegno di sostegno!

Si metteva le mani sul viso, Giovanna. Si sentiva svuotata fin dall'adolescenza, di qualcosa che nemmeno lei riusciva ben a descrivere. Era convinta che non esistesse la felicità, la spensieratezza, la serenità d'animo che tanto leggeva nei libri e lo vedeva nei visi delle sue coetanee che a ventisette anni erano tutte donne libere.
Ma libere da chi?
"Come da chi?" Si rimproverava la ragazza.
"dai doveri famigliari, dalla sfortuna, dal tutto!"
Per questo Giovanna meno parlava in pubblico e meglio era, perchè quando lo faceva fra le corde vocali della sua voce s'appuntigliava alla sofferenza una nota rabbiosa.
Talvolta la nota si sostituiva alla rassegnazione e così quando qualcuno le chiedeva come stesse la sorella e la madre, lei rispondeva così: "Come sempre.."
Perchè la sua infanzia, ovviamente non esisteva più, le sue avventure pittoresche da bambina, quando ancora la sua famiglia viveva tra denaro abbondante e vizi goduti, non erano nemmeno più un ricordo, tendeva a dimenticarsele con quel "sempre".

Ora era lei a mantenere la famiglia, a portare in giro sua sorella, che dopo il tentato suicidio si spaccò solo le gambe, incapace di tornare a camminare; imbottita di psicofarmaci sembrava con la testa più altrove, verso un purgatorio che non le aveva aperto nemmeno le porte.
Sua madre sì, lavorava al bar di un parente,il Peschetto, ma ogni tanto spariva per qualche giorno, e tornava a volte euforica altre così depressa da passare un'intera settimana tra letto e cucina.

"Questa.." fece una brevissima pausa "non è vita" mormorava a se stessa "ci vorrebbe un miracolo".
Ma il miracolo era lì ad un passo da lei, era proprio lì.
Orsù Giovanna, guarda! Guarda bene!
Gli occhi della ragazza ormai erano gonfi da diversi anni, che nemmeno più le lacrime riuscivano ad affondare sulle gote. Rimanevano appese alle ciglia, con le dita s'aiutava a liberarsene.
Giovanna, cogli questo attimo! Guarda!
Troppo rumore aleggiava nella testa della ragazza, era di nuovo ed insistentemente presa dai suoi problemi che non s'accorse per l'ennesima volta del miracolo.
Eppure quanti gliene passavano sott'occhio!
Anche questa volta: nulla.

"Se esisti veramente Dio.. perchè a me?"
Ma come poteva risponderle il Signore, se lei non era stata in grado di cogliere il miracolo. Che colpa ne aveva Dio? E poi, con chi Dio se la voleva prendere?
"Eppure" rincalzava la ragazza "da bambina non ho mai dubitato del Cristo, andavo sempre a messa, con la mamma, anche dopo la comunione, e mia sorella era negli Scout.."
Oh, Giovanna quanto delirio in questo tuo voler trovare ragioni e risposte.

Mezzogiorno s'avvicinava poco a poco, ed il borbottio di quei confusionari ed egocentrici pensieri fecero sobbalzare un tordo sopra un ramo, quasi infastidito da quell'alone scuro e arruffato, se ne andò in cerca d'altro luogo.
Giovanna non s'accorse nemmeno che s'avvicinava un piccolo micio bianco alle sue gambe e quando lo scorse, si spaventò d'improvviso. Cercò d'accarezzarlo quasi per farsi consolare, ma il felino schivo com'era le diede una sgraffiata sulle dita.
"Ahia!" strillettò Giovanna ed alzandosi dalla panchina si diresse verso casa, decisa che era stata tutta una perdita di tempo stare lì seduta a fissare per un'ora il fiume.
Ma vi posso garantire che in verità, Giovanna non vide nemmeno per un istante il Fiume.
Alle sue spalle lasciò un odore intenso di sdegno e rabbia per il suo infame destino.

Oh Giovanna, se solo tu potessi vedere il Miracolo, forse a breve tornerà, oppure fra un giorno, un mese, un anno.. forse ora.



[ F i n e ]

Autore: Docean Drop









venerdì 22 luglio 2016

I creatori di Inferni _ [Racconti]


Abbandono latente
desiderio dormiente
t'osservo a debita distanza
in una stanza senza porte
nelle ombre dei pensieri
evanescenza fluida, 
soffri al centro del Tempio,
bambina solitaria,
sento le tue nere lacrime strisciare come serpenti verso i miei passi
e t'osservo a debita distanza
ascoltando il tuo lamento, bambina

"Non vali niente" dice il demone alle tue spalle
"Non hai radici, non hai origini" e tu
soffochi i singhiozzi.
"Sei continuamente abbandonata al tuo destino, t'aggrappi inutilmente, inutilmente credi" ti sussurra con quelle fauci da bestia.
I pensieri ridono di te e come nani dagli artigli pesanti, saltellano sulle pareti.

T'osservo a debita distanza, 
il tuo viso bambina, dai lunghi capelli e dalle punte come rami secchi, è nascosto dalle tue nude ginocchia e dalle tue esili braccia.
Il demone è un boa che ti tiene stretto al suo cerchio, morde la sua stessa coda e da essa altre teste si distendono ed esibiscono occhi neri e pupille viola come il veleno che ti inflegge con la fragranza che emana dal suo manto turgido.

T'osservo a debita distanza,
raccolgo la spada del coraggio e respiro:
"Ciò che dice è vero, bambina" affermo.
"Chi ha parlato?" Chiede il boa.
"Chi di te, più non ha paura"
Le ombre dei pensieri saltano euforici creando cerchi di fuoco lungo le pareti.
"Tu, avrai sempre paura" una delle tante bocche sputa ai miei piedi e, cara bambina, ti tiene ancora più stretta al suo cerchio.
"è una paura che non mi renderà schiava per l'eternità" la spada che porto è pesante, con fatica la sollevo, ed è la chiave della libertà.
Ruggisce la bestia che t'avvelena con più forza.
I miei occhi si bagnano.
"Quello che dice, bambina è vero, tu non vali niente, non hai origini e non hai radici" continuo senza asciugare gli occhi "perchè sei nata con uno scopo, libera dalle credenze che possono opprimere i viventi, ora ti è sconosciuto ma se smetterai di nutrire il demone..."
"Fesserie!" obietta la bestia "sei solo un errore, un incognita, come tutti"
"Libera dalle credenze che possono opprimere i viventi" ripeto "crescere, vivere,donarti, disciplinarti è il tuo scopo"
"Le persone sono fatte per essere usate ed allontanate quando fa comodo, non fidarti, proteggiti" torna il boa a sussurrarti.
La punta della spada è diretta verso di esso, con mano ferma.
Sento il fiato sul collo dietro me:
"Il mondo è talmente egoista, che ognuno difende e adula se stesso, come puoi negarlo.
Anche chi ama, è talmente schiavo dei pensieri da distruggere il cuore dei beati. E fino ad ora ti sei ritrovata a fissare lo stesso Cielo."
Alzo gli occhi al soffitto, un banco di nuvole grige e nere, evanescenti e tormentati, come i pensieri che del fuoco ne hanno fatto luce, una luce finta, ipocrita.
Bambina, il tuo pianto è un pavimento di striscianti serpenti ormai e sono pronta ad agire.

"Mi dispiace, ti prego, perdonami" invoco mentre l'inferno mi risucchia e prima che tutto cominci a tremare afferro la coda del demone alle spalle e sfodero con tutta la forza un taglio netto alla sua testa.
Lingue di fuoco e lava mi bruciano oltre la pelle, lo spirito. La rabbia vuole succhiarmi l'anima e mentre il boa prepara le sue sbavose fauci, il coraggio diviene una Luce ancora più accecante del Sole, illuminando e disintegrando i confini della stanza.

Il boa morde il braccio, lo stesso braccio con il quale lo trafiggo al centro della gola.
Il dolore si fa spazio tra le reti del mio vivere e torna il flash del delirio:

Lo struggente dolore del silenzio, il dondolio dell'annullamento, il legame perduto, l'assordante vuoto, il desiderio del nulla, il re dell'Abbandono.
Ah! Me misera! Perché non ho voluto vivere desiderando le cose del Mondo, cercando nella materialità e nelle superficialità il benessere insignificante per lo spirito? Tanto struggimento, per trovar rifugio e compassione! 
Tanto struggimento perché è negato vivere secondo Principio!

Ed è così, che ritrovandomi ora a faccia a faccia, con te bambina, che sei ancora nascosta in te stessa, piangente e lagnosa, mi sposto a fatica venendoti incontro.
Non comprendo più nulla, non sento più l'assordante caos dell'inferno.
Il fuoco è svanito, il demone dissolto, eppure so di poterti liberare solo in un modo.

Con il mio braccio ormai stracciato dalla bestia, impugno ancora il coraggio, la spada macchiato di quello stesso veleno.
Solo a quel punto mi mostri il tuo viso elevando un grido di terrore.
Vedo che il dolore t'ha accecato completamente: al posto degli occhi hai solo due minuscole fessure dove sgorgano lacrime nere che cadendo a terra continuano ad essere serpenti striscianti.

"Mi dispiace, ti prego, perdonami" ed è così, cara bambina, che ti libero dalla prigione che tu stessa ingenuamente hai creato.

Ed ora meglio comprendo,
di non valere niente, di non avere origini e radici, ma questa è la natura dell'essere umano: nulla gli appartiene, nemmeno il corpo, che nasce, cresce e perisce con la stessa velocità con la quale si può vivere e morire.
La terra e tutti gli essere viventi sono parte di uno stesso ciclo, ed ognuno è regolato da quelle leggi che l'uomo mai ne sarà padrone e quando s'avvicinerà ad esserlo, tutto s'annullerà e tornerà al Principio.
Che te ne fai del Nome che t'hanno dato?
Ma non vedi come t'inganni quotidianamente?
Ti releghi dentro al mondo che te sei creato! Ah! Che vigliacco, maledire Tutto e credere d'esser nel giusto! 
Specchiati e dimmi chi sei, non lo saprai nemmeno dopo aver varcato le porte dell'al di là!
Svuotati di quella vanità e d'orgoglio con cui difendi il tuo bottino! Che te ne farai quando giungerà l'ora?
Perchè a te e non a me? Che vigliacco!
All'uomo nulla appartiene, solo dell'anima si deve prender cura perchè essa, cura di lui, si prenderà!
Svegliati e dedicati alla pratica! Non sei nato per destar piacere solo ai tuoi vizi, ma per compiere l'opera che tu non comprendi, cocciuto come sei, chiuso nei tuoi crucci!

Solo quando smetterai di affannarti, di cercare la pace, quando la smetterai di tener serrato il cuore, quando ti stancherei del pensiero, quando t'arrenderai alla tua umile condizione.. allora agirai.


Autore: Docean Drop












mercoledì 20 luglio 2016

Oh uomo meschino .. ogni vita sorge per il Tutto



" Anche quel piccolo frammento che tu 
rappresenti, o uomo meschino, ha sempre 
il suo intimo rapporto con il cosmo e 
un orientamento a esso, anche se non 
sembra che tu ti accorga che ogni vita 
sorge per il Tutto e per la felice 
condizione dell’universale armonia. 
Non per te, infatti, questa vita si 
svolge, ma tu piuttosto vieni generato 
per la vita cosmica."

[Platone, Leggi, Libro X, 903 c]


martedì 19 luglio 2016

I bambini sanno


I bambini sanno
i bambini corrono
giù per il dirupo
male non fa
perchè i bambini sanno
che l'avventura
è ogni rischio,
ogni dolore
una medaglia all'onore

i bambini sanno
mentre i grandi
paura hanno
i bambini giocano
sulle avidità dei nullafacenti
i bambini non hanno menti
per indurre ai tradimenti


i bambini vedono
i bambini sentono
oltre le mura
lacrime salgono in cielo
la pioggia è danza della vittoria
mentre i grandi credono alla memoria.


Autore: Docean Drop

Timide ali


Timide ali si schiudono
al clamore del Sole
timide ali si inebriano
al clamore del Sole
danzano api nel fievole vento
fronde di un verde brillante
mentre lassù
una ragnatela è ricamata fra spazi vuoti
vola ondulando
tra fiori di ginepro
e fiori di oleandro
vola ondulando 
in cima al colle
il cielo si sveglia
ed il rosa di quelle nubi stanche
torna a tintinnare la gramigna

Timide ali si schiudono

al clamore del Sole
timide ali
scuotono l'anima dei puri,
mai musica più dolce
fu udita
ondulando ora
a destra
ora a sinistra
timide ali si inebriano
al clamore del Sole
sussurrando ai cespugli
nuovi incanti

farfalle dorate nell'azzurro 

angeli senza domani
di timide ali
dondolando vanno
il vento oltre le ombre della notte
spostando pensieri dormienti

la vita applaude quelle orme 

oltre l'est dei ricordi mentre 
scavalcano i raggi, lentamente tra pietre e rocce
torna la carezza del dio diurno

Ed ora

il canto 
solleva il silenzio
in un abbraccio.




Autore: Docean Drop


venerdì 15 luglio 2016

Quel lontano 1965.. _ [Racconti]



"A volte per vivere bisogna fingersi morti" disse il vecchio con la barba bianca.
Francesco Leviski,  aveva da poco compiuto 20 anni e lo guardò in volto con aria interrogativa.
"Ma sì, sì, è come ti sto dicendo io! Se non mi fossi finto morto in quel lontano 1965 non sarei qui ad ammazzare mosche o andar dal medico per curare le stramaledette emorroidi!"
Francesco abbozzò un sorriso "Ma signore, cosa le successe nel 1965?"
Il vecchio starnutì improvvisamente e cominciò a frugare fra le tasche in cerca di un fazzoletto.
"Ma cosa vuoi che ti importi cosa mi successe quel giorno! Fidati che per vivere a volte bisogna fingersi morti stecchiti, fingere di non aver fiato.. insomma ragazzo, fai il morto!"
Di nuovo il vecchio starnutì.


Il giovane incuriosito notò che una leggera brezza accarezzava le foglie dell'albero di Tiglio e si diresse verso la sdraia per prendere la coperta e darla al vecchio.

"Dove stai andando, Dario?"
"Non sono Dario, mi chiamo Francesco, Signore"
"Francesco chi?"
"Leviski, Signore.."


"Oh Cristo!" Imprecò il vecchio "ora pure i sovietici vengono a sfrattarci!"

"Signore sono nato in Italia.."
Nel frattempo il giovane porse la coperta all'anziano che ignorò il gesto guardando oltre il giardino.
"A che ora si mangia giovanotto? Un uomo maturo come me ha bisogno di mantenere le sue abitudini!"
"Alle 19:30 signore.."
"Hai detto bene, sono le 19:30"
"Signore, sono le 16:30!"
"Insomma ragazzo! Ti vuoi decidere? Alle 19:30 o alle 16:30?"


Il giovane incredulo rimase un poco perplesso, ma allo stesso tempo provò una certa simpatia per il vecchio che con quei suoi occhietti un poco a mandorla e le rughe intorno alle labbra, gli dava un'aria molto saggia. Evitò di rispondere chiedendogli quale fosse il suo piatto preferito, ma il vecchio rimase per qualche minuto in silenzio.

Al di là della siepe si sentì rombare in strada un motorino.
Ed il vecchio riprese a parlare mentre guardò un'ape volargli intorno: 
"Il miele" disse.
Altro silenzio e l'anziano signore fissò un punto vuoto fra l'erba fresca.
Il ragazzo rimase in piedi a fianco della panchina in cui era seduto il vecchio, diresse il suo sguardo verso il portico dove vide altri ragazzi del volontariato giocare a carte con delle signore simpatiche e gentili, ogni tanto si sollevava nell'aria qualche timida risatina.
Si sedette e sospirò piano, con la certezza che il vecchio non lo sentisse affatto.


"Che ci fate voi giovani in un posto come questo?" Disse ad un tratto e tutto d'un fiato il signore.

Francesco, che non se l'aspettava proprio, rimase a bocca semiaperta, in attesa che gli uscisse qualche frase schietta ma garbata:
"Facciamo del semplice volontariato"
"Alla tua età pensavo a tutto tranne a fare del volontariato a dei vecchi rinchiusi in una specie di alloggio noioso e stitico"
"Stitico?"
"Sì, stitico di divertimento!"
A Francesco scappò una breve risata.
"Che ti ridi giovanotto?" disse in tono serio il vecchio voltandosi dalla sua parte ma senza guardare in viso il ragazzo "Alla tua età scopavo come un coniglio e mangiavo ciccia e bietola per lavorare!"
Il giovane si sentii un po' indeciso sulle risposte, ma non riusciva di certo a frenare il suo sorriso, capii di ammirare la sfacciataggine più sincera del signore.

"Ma non ha piacere della compagnia di noi giovani? Agli altri anziani sembra..." non fece in tempo di finire la frase che il vecchio alzò la voce infuriandosi.
"Quali anziani? Porta rispetto giovanotto, qua siamo persone mature, non vecchi rincoglioniti! "
"Mi perdoni non intendevo dire che.."
"Che cosa? Pensi che abbiamo bisogno della vostra pietà e sostegno in attesa della vecchia volpe Morte?! Che razza di maleducato!"
Sbuffò il signore cercando di rimettersi sulle sue gambe.


"Le chiedo scusa! Non avevo alcuna intenzione di offenderla!"

Sicuramente per testardaggine ed orgoglio in pochi secondi il vecchio si mise in piedi e con il bastone alla sua destra avanzò di qualche passo.
Si posò il senso della vergogna fra i pensieri di Francesco e in cuor suo sentii di non poter sopportare quella risposta rabbiosa del vecchio, aveva intenzione di rimanere ancora in sua compagnia, perciò si alzò anche lui ma rimanendogli di spalle desiderava porgere le più sincere scuse e rimanergli a fianco.

Il vecchio scosse ancora la testa, come per allontanare qualche pensiero insidioso e porse di nuovo il fazzoletto al naso ma invece di soffiare, tossì.
Camminava lentamente con il suo bastone e si avvicinò ad un ghermito cespuglio di more. 
Lo osservava con accuratezza alzando ed abbassando lentamente il viso, sembrava come se stesse ammirando un quadro dai suoi incredibili dettagli.
Il giovane, come un cane bastonato, gli stava dietro, ma senza scodinzolare gli chiese:

"Vuole che gli raccolga qualche mora?"
Il vecchio non rispose, vi erano solo le chiacchiere da sotto il portico a disturbare il silenzio; e Francesco comprese che probabilmente era più corretto rimanere zitto e seguire i suoi movimenti.
Il signore ispirò profondamente, trattenne il fiato per qualche secondo e poi sospirò.
Il giovane si sentì assorto in una bolla di sensazioni: quiete carica di nostalgia? malinconia? solitudine? attesa? Non sapeva ben definirla ed anche lui infine sospirò riprendendo a seguire i lenti e pesanti passi del vecchio.

Lo vedeva muoversi in quella sua giacchetta di cotone color cannella ed i pantaloni grigi stretti in una cintura di pelle nera. In giovane età sarà  sicuramente stato un atleta oppure semplicemente un ragazzo che faceva il manovale per qualche fabbrica, perchè le ampie spalle erano ancora lì anche se tendeva ad incurvarsi in avanti come per proteggersi il petto e chiudersi in se stesso.
Nella mente di Francesco piombò l'immagine di suo nonno quando a causa della sua infermità lo vedeva spesso steso a letto in posizione fetale, come se volesse tornare al grembo materno; allora lo compativa non tanto e infastidito dalla debolezza di suo nonno lo intimava ad alzarsi, a vestirsi e ad uscire di casa facendo delle passeggiate in carrozzina con la badante. Non poteva sopportare di vedere il nonno a letto in cerca di protezione come se fosse un poppante.
A questo ricordo, il giovane sentì dentro di sè qualcosa di sbagliato e deglutì la sua stessa saliva.

"Oh Carla.." sussurrò il vecchio che sembrava aver dimenticato la presenza del giovane alle sue spalle.
Francesco tornò al presente alzando di nuovo gli occhi verso il signore.
"Carla cara, ti piacerebbe ballare ancora con me?" sembrò porre le domande ai fiori di oleandro. "Io suppongo di sì, anche se non mi davi mai la soddisfazione di vederti colma di gioia e di eccitazione quando ti prendevo fra le mie braccia!" Sorrise allungando la sua mano rugosa verso le foglie, come per accarezzare le gote di un viso di fantasma.
"Però tu, mia bella furba signora, anche se non mi davi la soddisfazione di sentirtelo dire, lo potevo sentire, lo potevo vedere nel brillio dei tuoi azzurri occhi!" sorrise con quel suo sguardo un po' perso, poi abbassò di nuovo il volto verso l'erba e tornò a muovere qualche passo in avanti, verso il sentiero dei noccioli.

Un odore di rose rosse inebriò l'aria e Francesco respirò a pieni polmoni, come incantato da una realtà passata e presente.
"Sai ragazzo.." continuò il vecchio, ma il giovane non rispose per non interrompere quel silenzio stabilitosi fra loro.
"Se solo avessi un minimo dei tuoi giorni giovani, della tua forza e agilità, tornerei a quei tempi passati per raccontare a Carla ed a tutti i miei cari amici, quanta pace ci sia durante il tramonto!"
Il giovane non comprese affatto le ultime parole di quel desiderio: quanta pace ci sia durante il tramonto?!
Ma il signore come se avesse sentito i suoi dubbi continuò dicendo:
"Ah! Non t'allarmare di quel che dice uno come me.. tanto sono solo volontà impossibili e alla fine mi va bene così, se Dio vuole può anche farmela fare finita!"

"Ma che cosa dice!" tradì la voce spontanea del giovane "Ha ancora tante cose da fare!"
Per la prima volta Francesco vide il signore compiacersi in un sorriso.
"Quali cose, ragazzo?"
"Beh, per prima cosa, mi potrebbe insegnare.. non so, insegnarmi qualcosa che lei ha imparato!"
"Non basterebbe una vita, e poi sei talmente giovane che per farti entrare qualcosa in quella zucca ci vorrebbe la spiegazione di un vecchio saggio e paziente, ed io non sono nessuna delle tre cose!"
"Non dica così, sa benissimo che potrebbe comunque farlo e sono certo che sarà una buona azione"
"Non ho buone o cattive azioni da fare"
"Ma non è questo il punto, le sto dicendo che per me, per me sarebbe una buona azione, una buona cosa, voglio continuare a parlare con lei!"
Il vecchio alzò le sopracciglia, ora era lui che non capiva affatto il giovane: ma che cosa voleva che gli insegnasse? 
Per tutta la vita non aveva fatto altro che l'operaio in una fabbrica che ora nemmeno ne esisteva più il nome. Aveva avuto una famiglia, certo, una donna e, sì, anche l'amante, aveva avuto un figlio e soprattutto tanti amici. Ma niente che avesse a che fare con la professione di insegnante!

"Potrebbe, ecco" disse con tono dubbioso il giovane ma deciso di andare fino in fondo "spiegarmi che cosa le successe in quel lontano 1965"
Il signore lo guardò per la prima volta negli occhi e si chiese fra sè e sè Ma che vuole questo petulante? 
Ma nel suo cuore, nasceva la sensazione che il giovanotto fosse tutto sommato in buona fede. Glielo leggeva ora negli occhi, quella curiosità un po' infantile e un po' come lo sono tutti i giovani che ancora non sanno se essere pesce o carne. A tal pensiero gli venne da ridere ed il ragazzo allora sorrise e se avesse davvero avuto una coda avrebbe scodinzolato come un cane docile ed affettuoso al suo padrone.

Il vecchio portò di nuovo il fazzoletto al naso, e questa volta lo soffiò veramente. Riprese a camminare seguito da Francesco.

"Devi sapere allora che nel 1965..."


Una gazzaladra svolazzò intorno ai due e si posò sul ramo di un enorme pino sopra le loro teste. Scrollò le piume e rimase ad osservare fra i cespugli qualcosa da mangiare.

[ F I N E ]

Autore: Docean Drop